Matthew Shepard aveva 21 anni, era un ragazzo di corporatura piccola, studiava all’università di Laramie nel Wyoming. Prima dell’università aveva studiato in Svizzera.
Una sera, in un locale, conosce due ragazzi, Aaron James McKinney e Russell Henderson. Matthew era gay, gli altri due no. Uno dei due forse ha ancora in mente le parole d’odio lanciate da un senatore repubblicano degli States, e ritiene che a questo male bisogna trovare una cura.
Estrae così una pistola e colpisce Matthew alla testa. Quasi sicuramente perde conoscenza. Poi viene caricato sulla macchina dai suoi aguzzini e portato fuori in una zona isolata. Viene colpito più e più volte. I due Aaron e Russel, però non si fermano a questo. E come facevano i loro nonni, attaccando alle palizzate del ranch i corpi dei predatori delle loro mandrie per ammonire gli altri di quello che sarebbe potuto accadergli, anche loro hanno legato il corpo ormai esanime di Matthew. Un messaggio a chi provoca la loro virilità.
E su questa teoria, gli avvocati difensori hanno cercato di giustificare questo delitto. Hanno provato a dimostrare che i due quando hanno compiuto quell’atrocità erano stati presi da quello che definiscono “gay panic”. Panico da gay.
Era il 6 ottobre del ’98.
Il clamore della sua uccisione ha portato a sensibilizzare gli USA, e il resto del mondo, sulla tutela e i diritti LGBTQAI+, e due anni dopo, nel 2000, ha portato chi ha fondato Arcigay Modena ad intitolare a lui il nostro comitato.
Quando non ci sarà più bisogno di noi, non ci saranno più altri Matthew Shepard. Rispondere alla domanda “chi è Matthew Shepard?” non è semplice. Non sono solo pochi dati autobiografici ma sappiamo poco sulla somma degli interessi, delle paure, dei desideri che caratterizzano i vent’anni di una persona.
Non è soltanto la descrizione di un omicidio efferato e brutale, di un corpo torturato e abbandonato in un campo.
Matthew Shepard è la presa di coscienza collettiva di quello che può fare l’odio.
È la consapevolezza della necessità di opporsi alla violenza con qualunque mezzo.
È il coraggio di una famiglia che ha portato avanti una campagna pubblica non solo per avere giustizia ma anche perché la morte del proprio figlio ne impedisse altre.
È l’iter di un processo giuridico che ha svelato quanto possano essere profonde le radici omofobe di una società intera, le ambiguità politiche e religiose di intere comunità.
Matthew Shepard è un simbolo, il promemoria costante che di omofobia si muore.
Matthew Shepard è diventato una legge, il Matthew Shepard Act, una voce nell’hate crimes in the United State che estende il provvedimento ai crimini motivati da orientamento sessuale, identità di genere e disabilità.
Matthew Shepard è la consapevolezza, triste e che ci riempie di rabbia, che per avere una legge adeguata all’omofobia occorra sempre il sacrificio di una vittima sacrificale.
Legge che, in Italia, non abbiamo ancora.